Non sprecate questa crisi

Nel 2008, in piena Grande Recessione, Rahm Emanuel, ex sindaco di Chicago e consigliere di Obama, rispolverò il vecchio adagio di Churchill “Mai sprecare una (buona) crisi”. Consiglio che oggi, mentre saltiamo da una crisi mondiale all’altra - diplomatica, pandemica, climatica - rimane grottescamente attuale.

E pur tuttavia, nel grigio carosello di notizie drammatiche cui da due anni continuiamo ad assistere, è impossibile non riconoscere che se non altro la crisi pandemica ha dato origine a molte innovazioni – si stima che la spinta digitale all’interno della scuola, ad esempio, si stata anticipata di 12-15 anni – e ad altrettante rivoluzioni, tra cui quella del mondo del lavoro. Lo smart working e la sua capillare adozione – anche se flessibile e riservata ad alcuni settori - sono l’esempio di come le crisi offrano ai più attenti l’opportunità di riflettere sui processi per migliorarli, superarli, sperimentare nuove prospettive.

Vi sono dei fenomeni che sono sotto attenta osservazione perché dalla capacità di affrontarli in modo non convenzionale dipenderanno molti cambiamenti sociali e culturali: uno dei più interessanti è il Big Quit o Great Resignation, il massivo fenomeno di dimissioni volontarie registrato nel 2021, che ha colto di sorpresa le aziende e che ha toccato anche il nostro Paese, in particolare il Nord Italia, con un dato che riguarda prevalentemente i giovani tra i 26 e i 35 anni e che impatta sul 60% delle aziende dei settori informatico, produzione, marketing e commerciale (fonte: AIDP). Una delle chiavi di lettura è legata alla rivalutazione del senso della vita che ha caratterizzato i momenti più tragici della pandemia, e che ha portato milioni di lavoratori a scegliere di abbandonare posti di lavoro che non rispettavano e non valorizzavano la persona, annichilendone la potenziale spinta creativa o le prospettive di carriera.

Sarebbe davvero un’occasione sprecata non avviare una profonda analisi dei dati che sono stati raccolti al riguardo e che, avendo come denominatore comune una profonda insoddisfazione in una cultura lavorativa vecchio stampo spesso tossica e disimpegnata nei confronti delle sue risorse, ci parla di una vera e propria rivoluzione del valore del lavoro, che chiede di rimettere la persona al centro delle organizzazioni. Non si tratta di andare a vivere in campagna, come propongono alcuni tv show molto in voga, ma di potenziare al massimo il senso di ciò che si fa, il sentimento di appartenenza, l’intuizione di una continua crescita di competenza, la condivisione delle scelte. Un azionariato di talento che ha una ricaduta immediata in termini di produttività, di fedeltà e di innovazione.

Il compito di raccogliere questo cambiamento e di ridefinire i perimetri del lavoro appartiene alla nuova classe di manager: non si tratta di un passaggio generazionale in termini di età, quanto di competenze. Assistiamo alla genesi di un nuovo stile di leadership, la leadership aziendale sostenibile, una matrice per alcuni versi montessoriana che ha l’obiettivo di facilitare la relazione, fluidificare il cambiamento, suggerire apertura e innovazione valorizzando il potenziale aziendale.

La leadership gentile di cui molto si parla in questi giorni è solo una delle componenti di un ruolo chiave che – senza perdere di vista l’obiettivo del profitto – ha come focus:

  • L'inclusione di tutti gli stakeholder nei processi decisionali (non più una piramide verticale dove le scelte ricadono a cascata dall’alto verso il basso, ma un sistema che si alimenta in tutte le direzioni).
  • L’ascolto e l’accettazione dei propri e degli altrui limiti e il loro superamento attraverso nuove prospettive. Il mito dell’infallibilità deve essere abbandonato a favore di un balance psicofisico da promuovere e tutelare.
  • L’attenzione alla sostenibilità ambientale, sociale, economica che deve essere comunicata, promossa e applicata in modo chiaro e coerente.
  • L’interesse per il benessere collettivo dei dipendenti: produttività, fedeltà, passione, energia, passano attraverso il wellbeing.
  • L’esempio nello studio e aggiornamento costante: la curiosità è il nuovo valore da condividere e potenziare, anche in fase di recruiting.
  • La visione non convenzionale, la capacità di rompere gli schemi, ripensare le connessioni, ragionare le soluzioni immaginando le conseguenze nel lungo termine.

È importante dunque concentrarsi sul management of change, investire sul futuro, sulla capacità delle organizzazioni di affrontare ed accogliere con successo il cambiamento attraverso le proprie persone. La formazione stessa dovrà essere ripensata per essere a sua volta aperta, inclusiva e sostenibile.

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