Quanto vale il mercato della formazione?

Non c’è niente di più frustrante che cercare dei dati coerenti per dare dimensione e qualche senso al mercato dell’Apprendimento.” 
Questa frase di Federico Fantacone riassume molto bene il sentimento di tanti esperti, come noi, del mondo digital learning e che, in un momento in cui si fa ricerca e innovazione, devono muoversi in una giungla di dati e report non sempre aggiornati. 
 

 

Eh sì, il podcast di Storie di Apprendimento Straordinario, disponibile su Spotify, di Fantacone ci piace tanto e le ultime puntate sono state dedicate ai dati inerenti all’industria della formazione e, insomma…. La situazione in Italia non è proprio rosea
Abbiamo voluto approfondire anche noi, vediamoli insieme. 

Innanzitutto, cosa ricade all’interno del mercato dell’apprendimento? Cosa si intende per “mercato della formazione”?  
In senso lato si intende un mercato che racchiude sia il pubblico che il privato dalla scuola elementare all’università, fino alla corporate education che è quella finanziata dalle aziende e dalle organizzazione corporate, per l’appunto, e in cui il digital learning regna sovrano.  

La pandemia è stato certamente il driver che ha portato a un aumento della diffusione e dell’investimento nella formazione digitale. Più volte vi abbiamo raccontato come gli investimenti in campo siano aumentati a causa (o grazie) del Covid-19 e come investire nella formazione aziendale possa essere un efficace strumento per migliorare il proprio fatturato
Ma cosa intendiamo come “spesa” in riferimento al mercato dell’apprendimento? 
Si intendono tutti quegli investimenti che hanno a che fare con il mondo della scuola e della formazione aziendale, in particolare quindi: l’EdTech (per cui in generale si intendono gli investimenti fatti in ambito, per così dire, scolastico), la spesa che affrontano le aziende per formare i propri dipendenti e per innovare il loro metodo di apprendimento – corporate learning  –. 
Facendo un focus sul digital learning, poi, è interessante verificare che la spesa dedicata alla sua diffusione e sviluppo occupa il 5% degli investimenti ed è quella destinata a crescere di più, una percentuale, la suddetta, destinata ad aumentare di cinque punti nel 2030. 

Non ci soffermeremo a guardare e a parlare della spesa del mercato dell’apprendimento in senso lato, di cui però è importante dare qualche dato relativo al nostro Paese.  
A livello mondiale si spendono 6,5 trillioni di dollari nell’ambito dell’educazione (sia essa intesa come tradizionale, sia come corporate, come privata o pubblica) ed è una stima che tenderà a crescere nel 2030 soprattutto in visione della formazione dedicata alle nuove professioni e alle nuove competenze legate all’innovazione tecnologica e alle competenze green. Ciononostante in Italia la spesa dedicata all’educazione è solo il 4% del PIL nazionale, contro il 4.6% di quello europeo, e che purtroppo è una percentuale destinata a diminuire entro il 2025 (sembrerebbe infatti che il Governo abbia deciso di tagliare gli investimenti dedicati all’istruzione a causa del generale invecchiamento della popolazione – “Da tempo le proiezioni ufficiali evidenziano una tendenza generalmente comune, anche se con intensità diverse nei paesi dell’Unione Europea, ad un rapido invecchiamento della popolazione. Ciò comporta, in primo luogo, una riduzione significativa della popolazione attiva e un maggiore carico su di essa delle spese di natura sociale. In generale le proiezioni colgono i maggiori costi per la finanza pubblica legati ai sistemi pensionistici e alle tendenze relative alle spese per l'assistenza sanitaria e l'assistenza a lungo termine, che sono solo in parte compensate dai minori esborsi per l'istruzione legati al calo delle nascite.”). Questo è definito dal DEF del 2022, il Documento di Economia e Finanza pubblicato sul sito del Ministero del Tesoro.  
Ai posteri l’ardua sentenza

Ma veniamo a quello che ci interessa: le stime, i dati e il business dell’apprendimento in ambito corporate.  
Partiamo dicendo che le aziende, la PA e le organizzazioni private spendono più delle università e delle scuole in investimenti legati all’innovazione dell’educazione: spendono il 60/65% della spesa globale (parliamo di 200/250 miliardi di dollari).  
La formazione corporate è intrinsecamente più predisposta all’investimento in formazione digitale/ibrida in virtù dell’utente che si deve formare, la scuola in senso stretto, ma anche l’università, è ancorata a sistemi più tradizionali e per cui l’aula fisica dimostra di essere un ottimo strumento per veicolare il sapere. 

Dove spendono queste cifre le grandi organizzazione? 
LMS, software, VR, AI, cloud-computing, in hardware – visore per la realtà aumentata –, in servizi di mentoring e tutoring.  
Tra tutti questi elementi i dati si concentrano sulla spesa riguardante le piattaforme LMS, stimata tra i 10 e i 15 miliardi di dollari (nel 2021), che equivale al 6% della spesa complessiva in corporate digital learning. Sembra poco, ma questa percentuale aumenterà e nel 2030 sarà di circa 80%.  
Anche gli investimenti in software di authoring tool, le applicazioni per la realtà virtuale e che consentono un apprendimento sempre più immersivo sono in continua crescita.  

E in Italia
Dal report dell’Osservatorio EdTech si rileva che il fatturato delle aziende italiane è di 19,5 miliardi di euro. Si tratta quindi del 6% del mercato di digital learning mondiale.  
Secondo Fantacone il dato è un po’ alto e spiega il perché:“Da soli rappresenterebbero il 20% del mercato europeo, ma sappiamo che il mercato europeo è trainato dal nord Europa […]. Nel migliore dei casi l’Italia occuperà il 5% della spesa europea in digital learning, non certo il 20%. Quindi diciamo, 5 miliardi di euro sono certamente più realistici”. 
Il digital learning europeo in ambito corporate in Europa è stimato attorno ai 10 miliardi di euro, ciò significa che in Italia le aziende spendono circa 500 milioni (5% della spesa europea). 
Siamo un fanalino di coda, purtroppo, anche in relazione alle ore di formazione più tradizionale (aggiornamento e sicurezza) erogate ai collaboratori aziendali. 

Questa mancanza di formazione e innovazione si ripercuote già sul mercato del lavoro dove, non è un segreto, le esigenze stiano cambiando.  
Cambiano soprattutto le esigenze dei talenti che si affacciano su questo mercato e che bisogna ascoltare per costruire organizzazioni più diversificate, eque e inclusive, o lavorare in modo agile e smart. Mantenersi al passo con il cambiamento costante è una seria sfida. Questo è il motivo per cui quasi nove dirigenti su dieci (e non solo in Italia) affermano che le loro organizzazioni devono già affrontare lacune nelle competenze o aspettano che si sviluppino entro i prossimi cinque anni (How companies are reskilling to address skill gaps | McKinsey).  

La crescita del business, quindi, per forza dipende anche dal coinvolgimento dei dipendenti che i datori di lavoro possono rafforzare investendo nel loro talento attraverso le diverse opportunità di carriera, di sviluppo e apprendimento. 

Le priorità delle organizzazioni devono spostarsi per garantire che i migliori talenti non solo restino con l'azienda, ma che le loro competenze possano evolversi abbastanza rapidamente da rimanere competitivi.

 

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