La ricchezza della cultura, tra umanesimo digitale e formazione

Tra i settori più colpiti dalla pandemia mondiale c’è stato sicuramente quello della cultura e anche se le analisi riportano un trend crescente del +4%, circa, tra 2020 e 2021, è una crescita insufficiente per recuperare la perdita causata dai lunghi periodi di chiusura (soprattutto per le manifestazioni e gli eventi dal vivo).

Parliamo spesso di come il digitale e la tecnologia siano, al contrario, cresciuti nell’ultimo biennio ma i dati parlano chiaro: dal punto di vista del valore aggiunto, negli ultimi due anni il sistema produttivo culturale ha registrato una variazione percentuale del -3,3%; dati al 2021 mostrano un sistema formato da 270mila imprese e 40mila realtà del terzo settore, che dà complessivamente lavoro a 1,5 milioni di persone e produce ricchezza per 88,6 miliardi di euro.

Perché questa volta vogliamo parlarvi della cultura?
Perché visti i cambiamento sociali, economici ed ecologici a cui l’Italia si sta preparando e, soprattutto, sta affrontando, è innegabile notare come la cultura sia uno dei punti chiavi della transizione.

Secondo il Rapporto Symbola, pubblicato per la prima volta nel 2011 e annualmente fotografo della situazione culturale mondiale, il settore culturale creativo è un aspetto fondamentale dell'economia italiana ed è traino per quei settori che non sono propriamente creativi come, ad esempio, l'industria automobilistica, l'agricoltura e l'aereospaziale, ma che possono trarre vantaggio dalla creatività, il design e l’innovazione.
Parole chiavi, queste tre, per fare sì che, l'Italia possa svolgere un ruolo di primo piano nella transizione ecologica proprio grazie alla sua capacità “naturale” di incrociare bellezza, design e tecnologia, almeno si spera (Sole24Ore).

E visto che abbiamo tirato in mezzo innovazione e tecnologia (non possiamo proprio farne a meno!), possiamo allargare la riflessione, da bravi umanisti digitali quali siamo, e porci un quesito: quali sono e come stanno andando le professioni che legano cultura e tecnologia?
Sembra che da qualche anno si sia invertita la rotta e che se sei laureato in lettere e filosofia puoi fare altro oltre che insegnare, sembra infatti che la strada del digitale abbia iniziato ad essere percorsa anche da profili provenienti dall’ambito umanistico.
I motivi sono disparati: più preparazione sulle soft skills, capacità di analisi e sintesi diverse da quelle, per così dire, più rigide dei laureati in materie scientifiche, contaminazione di saperi diversi.
Se nel primo decennio degli anni 2000 il connubio umanesimo-digitale ha generato numerosi copywriter o specialisti SEO, oggi il mercato del lavoro cerca figure ibride, da affiancare ai professionisti in IoT, Blockchain e Data Science e creare team dinamici, inclusivi e, soprattutto, molto efficienti.

Noi che ci occupiamo di digital learning ed education in generale, con grande piacere notiamo un cambiamento di vedute e ragionamenti anche dal punto di vista della formazione. In senso lato sono presenti sempre più master, ricerche e dottorati che legano le tecniche e le metodologie di apprendimento alla tecnologia e al digitale e che portano a numerosi vantaggi e invenzioni che possono da un lato avvicinare i nativi digitali all’apprendimento di materie classiche in una modalità a loro più confacente, dall’altro sfruttano i cambiamenti legati alle nuove abitudini di apprendimento per creare sistemi valutativi e di comprensione diversi.
Ma non solo!
In ambito corporate sono sempre di più le richieste di creazione di percorsi di skilling e upskilling che possano aiutare i nuovi inserimenti a comprendere meglio come sfruttare le proprie capacità di umanisti in un ambito prettamente digitale.

E quindi, tutte queste riflessioni, in termini economici portano da qualche parte?
Sì. Dal report di Symbola traspare che nonostante l’impatto della pandemia, il contributo della filiera alla creazione di ricchezza e occupazione in Italia si presenta ancora rilevante, attestandosi rispettivamente al 5,6% e al 5,8% e di 89 miliardi prodotti dalla filiera culturale e creativa, ben 40 miliardi sono da associare ad attività creative presenti in diversi settori (come dicevamo legati a un’industria 4.0, tecnologica e anche manifatturiera, automobilistica etc.).
A questa ricchezza possiamo aggiungere tutta quella legata alla diffusione di formazione e sviluppo di professioni a cavallo tra il digitale, la cultura, la tecnologia e l’umanesimo.

E pensandoci bene, allora, notando come la cultura sia un motore propulsore del nostro paese, è facile capire come sempre più aziende guardino alla formazione dei propri dipendenti per diventare realtà sempre più all’avanguardia e innovative.

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