Diversity&Inclusion: cosa ci raccontano i dati sull’Italia

È arrivato il momento di guardarci allo specchio: dopo un percorso in cui abbiamo approfondito il tema della diversity&inclusion comprendendone il significato dal punto di vista culturale e aziendale, analizzando le normative e sottolineando i possibili vantaggi per aziende e dipendenti, il passaggio successivo è per forza quello di chiederci “qual è la situazione italiana?”. Saremo al passo con altre nazioni europee che molto spesso si dimostrano più all’avanguardia di noi nell’affrontare questo genere di tematiche o le aziende che da sempre hanno formato le basi economiche del nostro Paese si mostreranno un po’ retrò nell’affrontare il tema dell’inclusione?

Da un sondaggio condotto da PageGroup emergono alcuni dati estremamente confortanti, altri che invece sono uno specchio delle profonde scissioni culturali dello Stivale.

Più del 60% delle aziende ha affrontato e lavorato sul tema dell’inclusione apportando politiche di diversity management: tra queste più della metà si dichiara estremamente soddisfatta nella capacità di attirare nuovi potenziali dipendenti, mentre chiedendo direttamente alle persone che lavorano al loro interno circa il 60% dei dipendenti ha beneficiato delle attività di D&I riscontrando un ambiente di lavoro maggiormente stimolante e ritenendosi quindi più soddisfatto della propria vita lavorativa. Ne consegue quindi anche una maggiore fidelizzazione dei dipendenti e una diminuzione del turnover.

Poco più del 20% delle aziende ha invece dichiarato di non aver affrontato tali tematiche, principalmente per due motivazioni: da una parte non sempre la D&I viene percepita come un reale valore aggiunto per l’azienda, per cui si preferisce dedicare le proprie attenzioni ad altri aspetti, da un’altra non ci sono proprio le risorse per intraprendere politiche di inclusione concrete. Se è vero che per essere maggiormente inclusivi può bastare maggiore sensibilità all’interno del proprio ufficio, è altrettanto vero che per modificare i processi aziendali dalle fondamenta talvolta servono fondi. In un periodo economicamente delicato come quello che sta passando l’Italia risultano quindi fondamentali aiuti e incentivi, come quelli previsti dal PNRR che andranno a premiare proprio le aziende che si dimostreranno maggiormente inclusive.

Il dato peggiore è invece che la restante fetta della aziende intervistate, circa il 17%, ha dichiarato che non si occuperà mai di diversity&inclusion, e si tratta di una percentuale su cui probabilmente è il caso di fare una riflessione.

Includere la diversità significa semplicemente evitare di discriminare gli esseri umani per caratteristiche che li rappresentano, che spesso sono insite e non legate a delle scelte. Dichiarare che non si ha intenzione (né ora né mai) di dedicarsi al tema dell’inclusione significa dichiarare apertamente di voler discriminare. Il motivo per cui ben due aziende su dieci non hanno vergogna a fare una dichiarazione di questo tipo è, probabilmente, perché non si rendono conto della natura discriminatoria di certi atteggiamenti che sono tuttora presenti in gran quantità all’interno degli ambienti di lavoro. Rendersene conto significa accettare la gravità di alcune situazioni e reagire, ma spesso è molto più semplice dal punto di vista personale mantenere uno status quo che sembra mantenere un equilibrio interno, che tuttavia in molti casi è solo apparente.

Dalle prepotenze, più o meno velate, verso i “nuovi arrivati”, a espressioni discriminanti che hanno fatto parte da sempre del nostro gergo e della nostra cultura, dai film che abbiamo visto alle canzoni che abbiamo ascoltato, sarebbe necessario prendere consapevolezza che una maggiore sensibilità e apertura verso il prossimo, o nei confronti del “diverso”, può solo essere motivo di crescita.

Per concludere, questi limiti culturali collocano l’Italia al di sotto degli standard europei, dove mediamente le aziende che hanno già agito sono circa il 70%, mentre quelle che non agiranno mai sono solamente l’8%.

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